Da sempre la moda è un veicolo di comunicazioni sociali, non a caso capita molto spesso che, oltre a dettare la tendenza del momento, il designer, con il suo operato, si fa carico di un messaggio per la collettività. La sensibilizzazione ha come unico scopo quello di rendere reattivo un principio d’informazione spingendo le persone a prendere conoscenza e coscienza dell’esistenza di una situazione di malessere sociale o ambientale. Ovviamente l’obiettivo della campagna è di smuovere l’opinione pubblica a espandere un autentico e schietto coinvolgimento verso la problematica esposta e creare così, in maniera etica, sostenitori consapevoli.
Tra i portatori sani della comprensione, la provocazione è spesso l’arma più utilizzata dai veicolatori del messaggio e se da una parte le immagini forti si trasformano in merce di dibattito sui social, dall’altra si trasformano in stimolo e informazione. Coinvolti in questo gioco di scambi non ci sono solo lupi e pecore, ma anche lupi vestiti da pecore e pecore travestite da lupi: ed è proprio qui che il fottutissimo e fasullo perbenismo di troppi si veste di artefatte buone intenzioni ed è sempre qui che l’uomo si ritrova a doversi confrontare con il suo intimo, inesplorato e segreto angolo buio o con lo spigolo più illuminato del sue essere chiamato interiorità.
Tra le diverse campagne pubblicitarie in voga, ad avere solleticato la nostra attenzione c’è quella di UNITED COLORS OF BENETTON. Il noto brand – grazie anche alle capacità artistiche del Maestro della fotografia Olivero Toscani, che ha saputo trasformare in immagine lo spirito del marchio – si è sempre contraddistinto per rileggere in chiave moderna il principio del politicamente corretto e per farlo, spesso, ha cavalcato l’onda opposta alimentata da un incitamento mai banale e scontato. Anche questa volta l’immagine e il video di Oliviero Toscani riflettono tutti i valori fondanti di Benetton: la diversità, l’uguaglianza e un’idea del futuro che è più urgente che mai. Assoluti protagonisti degli scatti del fotografo un gruppo di ragazzi e di ragazze – di diverse etnie, completamente privi di qualsiasi artefatto, di maschera o di orpello – in posa in un abbraccio univoco che racchiude l’essenza dell’amore; in posa nudi come San Francesco, che si spogliò degli abiti e delle ricchezze del demonio, e nudi come tutte le creature del suo Cantico delle Creature: “Laudato sì, mi’ Signore, per sora nostra matre terra” e per queste nuove creature della Città Futura che neppure Giotto seppe prevedere e disegnare. Non più creature di città dolenti di macchine e di cemento, di acciaio e di polvere, qui ci sono nove pezzi, unici e tuttavia uguali, di un’umanità che presto inchioderà il vecchio mondo al suo odore scorante di materia in decomposizione e di roba smessa. Pupille di luce che brillano come in un arcobaleno, e pelli colorate che si mischiano, questi nove figli nostri sono frate Sole e sora Luna finalmente abbracciati e confusi: creature giovani di roccia fertile, di pietra morbida della quale ci si potrà finalmente fidare. Grazie a loro i colori torneranno innocenti: non ci sarà più la strega nera che offre la mela avvelenata rossa alla fanciulla biancaneve. Non più la guerra delle razze, ma il miracolo etnico con la ricchezza delle sue reminiscenze pacificate. Forse qui la pelle scura è anche quella dei beduini del monte Sinai, e ci sono tracce d’Asia persino nelle sopracciglia; e magari negli occhi di blu-chiaro c’è il freddo della Svizzera, mentre nel blu-nero c’è il caldo della Grecia madre d’Europa, e forse nel naso scuro e sottile c’è l’Etiopia somala; vedo ricordi imperiali nei capelli di seta e accenni tribali nel riccio indomabile, un tocco d’Italia profumata nelle ciglia lunghe. C’è persino il ritmo cubano nell’immagine, che è ferma, è vero, e tuttavia le creature sembrano muoversi nel Cantico della successione: spostamenti, toccamenti, aggrappamenti con balenii di Africa e di Cina e di gialli e di rossi da pittura creativa. È la foto delle Metamorfosi che sono tipiche delle civiltà imperiali, della Roma degli Augusti come dell’America dei Presidenti, della Globalità dove ogni cosa passa in un’altra, si tramuta nel suo contrario. Davvero in quest’immagine c’è Michael Jackson che sbiancava il nero e c’è l’evoluzione dei Lumumba, dei Senghor e dei Frantz Fanon che annerivano il bianco, ma anche dei Lenin e dei Lin Piao, c’è la rivoluzione che diventa confusione perché toglie l’identità certa all’Oriente e all’Occidente e li confonde, c’è il pavone dello Zoroastrismo che assimila la croce di Roma, il Ramadan che diventa banchetto pasquale, il latte di cammella che si tramuta in succo di vite, il burqa trasparente sul corpo di Venere, e c’è Fatima, figlia di Maometto, che prende le fattezze di Maria, madre di Cristo. Contro le guerre civili, contro le mafie e le violenze urbane dell’identità, contro i feroci conflitti etnici, contro le guerre di faglia e di religione, contro il terrorismo e contro tutti i razzismi risorgenti c’è la gioiosa con-fusione come valore, il Cantico delle Creature che avvicina al cielo e sottomette il mondo.
Salvatore Paglia