Dopo il libro arriva nelle sale la pellicola che riaccende il caso sulla morte di Pasolini
Poche ore prima di finire tra le mani della morte, Pier Paolo Pasolini liquidava i suoi colleghi giornalisti e intellettuali con queste parole: “Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bell'etichetta”. Una frase che, a distanza di anni, ha il sapore di un presagio; un'espressione che, visto l'aurea di mistero che avvolge le verità ipotetiche sulla sua scomparsa, ha un peso specifico in tutta la vicenda. Infatti, all'indomani del suo decesso, quasi tutti i giornali trovarono il modo più remunerativo per presentare il caso: il letterato era stato ammazzato dal povero ragazzo che aveva tentato di violentare. L'opinione pubblica abboccò e così, quella notte, il regista fu ucciso due volte: prima dalle mani di chi lo aveva aggredito, poi da quelle di chi ne ha per sempre cancellato il ricordo. Ciò che è certo è che nella notte fra il primo e il due novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini si reca all'Idroscalo per riavere il negativo del suo ultimo film: Salò. Ciò che in realtà si trova ad affrontare, forse animato anche da una semi-conscia brama sacrificale, è una trama pianificata in ogni dettaglio da tanti complici volontari e involontari, tutti ormai indistinguibili, tutti ormai ugualmente colpevoli. In “La Macchinazione” David Grieco, che dell'artista è stato amico e collaboratore, racconta una storia che comincia proprio nel punto in cui finisce il suo omonimo film. In realtà sono tante e diverse le presunte veridicità che ruotano attorno al caso: Il Maestro è stato ucciso da Pelosi che ha fatto prima da informatore per il furto delle bobine di Salò e poi da esca per l'agguato all'Idroscalo? È stato assassinato dalla famigerata Banda della Magliana? È stato eliminato su ordine di Eugenio Cefis perché indagava sui loschi traffici del presidente di Eni e Montedison che avrebbe fondato la P2 e nel ‘62 fatto precipitare l'aereo di Mattei? Si è fatto uccidere e si è fatto Cristo pianificando il suo martirio nei minimi dettagli, come sostiene l'amico e pittore Giuseppe Zigana? “La Macchinazione” sposa tutte queste ipotesi intrecciandole in un ordito semplice e verosimile. Perché c'è del vero in ognuna di queste tesi. Una verità sepolta sotto tante verità. Se la pellicola ricostruisce la spaventosa rete di complicità che si nasconde dietro al delitto, nel libro Grieco presenta le prove, le testimonianze e i documenti di un caso giudiziario complesso, abilmente ripercorso nei suoi chiaroscuri dalla postfazione di Stefano Maccioni, l'avvocato che dal 2009 lotta per fare luce sull'intera vicenda. Nel tempo, l'ombra di quel sordido delitto ha oscurato l'opera di Pasolini. Generazioni di studenti sono cresciute senza conoscere i suoi libri, le sue poesie, i suoi articoli, i suoi film. La sinossi ufficiale della pellicola racconta che nell'estate del 1975, l'autore sta montando il suo film più aspro e scandaloso, Salò. Sono giorni in cui il quadro politico italiano sembra aprirsi a prospettive inedite. Dopo il referendum per il divorzio e il trionfo alle elezioni amministrative, il PCI appare in grado di conquistare il Governo del Paese, abbattendo così la storica pregiudiziale anticomunista del mondo occidentale. Mentre lavora al suo film, lo scrittore continua la stesura di un libro fluviale intitolato “Petrolio”. In quest'opera di genere ibrido fra il romanzo e il saggio, lo scrittore, con un coraggio ai limiti dell'incoscienza, denuncia le trame di un potere politico ormai corrotto fino al midollo. In quegli stessi giorni, il poeta frequenta un ragazzo di borgata, Pino Pelosi. Pasolini e Pelosi s'incontrano periodicamente, suscitando le chiacchiere e il sarcasmo della periferia romana. In questa borgata si muovono loschi figure ben poco poetici e ben poco ‘pasoliniani', gente cha ha scelto la delinquenza pura. A muovere i primi passi è un'organizzazione criminale che, grazie a potenti appoggi e amicizie altolocate, si avvia a diventare padrona della città: la Banda della Magliana. Sono il suo impegno d'intellettuale e la sua vita privata a rendere Pasolini un bersaglio ideale per una macchinazione in cui sembra convergere contro di lui tutta la negatività del momento storico. Sui canali social il regista Grieco scrive: “Nel film “La Macchinazione”, Massimo Ranieri parla con la sua voce e non imita in alcun modo Pier Paolo Pasolini. Massimo Ranieri interpreta Pasolini senza usare espedienti in modo profondo, perché questi due uomini, così apparentemente diversi, sono profondamente uguali. Uno è settentrionale ed introverso e l'altro è meridionale ed estroverso, ma hanno in comune alcune cose molto importanti: il coraggio delle proprie idee, l'indipendenza, e un senso di giustizia innato, quasi infantile. Non so se il film che abbiamo fatto è bello o brutto, necessario o superfluo. Questo lo giudicherete voi. Ma so per certo che l'interpretazione di Massimo Ranieri rimarrà per sempre nella storia del cinema italiano. Su questo sono pronto fin da ora a litigare con chiunque fino allo sfinimento”. L'attore invece ricorda l'unico incontro con l'artista con queste parole: “Con Pasolini ci siamo visti una volta sola, rapidamente. Ci siamo incrociati negli spogliatoi in occasione di una partita di calcio che ci vedeva coinvolti. Mi disse solo: “Ma allora è vero che ci somigliamo”. E poi purtroppo non ho più avuto modo di incontrarlo. Grazie a David ho avuto modo di dare vita ad un ruolo che sentivo inevitabile, e quello ne “La macchinazione” è stato uno dei lavori più duri della mia carriera, psico-fisicamente, perché mi richiedeva la massima concentrazione”.